29/09/11

I don't want your simpathy.

Siamo in quel momento detestabile in cui l’aereo è atterrato a destinazione e tutti si sono già alzati ma devono ancora aprire le porte quindi siamo ingessati in un fermo immagine dato dalla mancanza di spazio. Solitamente in questo momento a me scappa forte la pipì perché non sono riuscito a farla in volo – infatti conosco bene la mappatura dei cessi dell’area arrivi di molti aeroporti, quelli di Londra a memoria. Comunque, io sto ancora seduto perché ero al finestrino e per alzarsi sul corridoio non c’è già più posto, mia cugina invece è in piedi, immobilizzata e spalmata contro un sedile, che tiene come se lo abbracciasse. La vedo che smania, ad un certo punto butta gli occhi all’insù ed emette un sibilo al contrario, a denti stretti tirando dentro l’aria, sembra quasi che scappi anche a lei la pipì ed invece dice “Mmm, se non fumo subito una sigaretta muoio”.
E io non la capisco.
Cioè, capisco quello che ha detto ma mi pare assurdo sentirne così il bisogno e far deviare poco dopo un intero gruppo di persone momentaneamente fuori dall’aeroporto, invece che farci andare direttamente da dentro al binario del treno interrato, solo perché deve riprendere una boccata d’ossigeno-alla-nicotina. Io potrei avere una pretesa simile in fatto di cibo – o pipì, appunto – ma questa cosa del DOVER fumare al punto di condizionare sé e gli altri mi sembra un’assurdità, per di più deleteria. Lei appena getta a terra la cicca si infila in bocca una gomma, ma cambia poco, la cosa è sempre deleteria.

20/09/11

Just like every cowboy sings his sad, sad song.

Non ho mai saputo abbinare i vestiti.

In realtà questa frase implicherebbe che la cosa per me sia importante, ma in realtà non è così, o almeno non lo è più. Ho un amico che passa la vita ad incrociare l’interno del colletto della camicia con la trama della cintura e gli occhiali da sole con la tonalità delle scarpe, mentre io mi preparo facendo un mix&match di quello che ho (di pulito) nell’armadio e se al termine quel che vedo allo specchio si sposa anche con i miei capelli, sono a posto, posso uscire.
Ci sono oramai molti concetti di moda, di quello che sta bene o che sta male, di quello che “va di moda” o che invece ne è passato. Questa stessa relatività rende vana l’idea che ci sia un modo corretto e non di vestirsi e abbinare le cose e la dimostrazione si ha da fenomeni come The Sartorialist, che testimoniano come lo stile sia ovunque e spesso dove non si sarebbe cercato e che a far moda sia spesso solo il gusto, l’originalità, la creatività, la libertà di espressione: tutto molto personale dunque. E’ la giusta evoluzione della moda oggi, con canoni più elastici e regole molto sottili da tendere a scomparire.

Qualche anno fa cominciavo a lavorare. Da un giorno all’altro ho dovuto rifornirmi dell’abbigliamento adeguato, avendo nell’armadio solo jeans e t-shirt. A poco a poco, con i mesi e i primi stipendi prosciugati, l’armadio si è riempito di completi, camicie, cravatte, scarpe e cinture, queste ultime rigorosamente dello stesso colore. Nonostante questo, tutt’oggi mi sembra d’avere un’armadio pieno di roba brutta ed ordinaria in cui non so ancora sentirmi a mio agio, testimone il fatto che continuo a non saper appaiare la cravatta giusta con la camicia prescelta. Riga su riga: giammai. Come anche pattern su pattern o scuro su scuro. Attenzione alle cravatte dai colori sgargianti, sempre meglio su sfondi tranquilli e le cose si complicano se anche il completo ha delle righe.
Il primo capo del cui acquisto sono rimasto soddisfatto, per la prima volta da cinque anni a questa parte di abbigliamento classico, è stato un completo invernale principe di galles vintage. Esatto: usato. Ero con amici in giro per Firenze e dopo aver passato i weekend precedenti per i grandi magazzini della Versilia in compagnia di mamma senza trovare qualcosa che non mi facesse inclinare la testa e storcere la bocca, ho trovato per caso questo completo di sartoria seminuovo, che mi cade a pennello, con la sua vita alta e i suoi risvolti sopra la caviglia. L’ho pagato quanto avrei pagato un completo nuovo da Fabbri Giancarlo e devo dire che li vale tutti, uscito com’è dal baule di qualche elegante nonno aristocratico.

13/09/11

We were born and raised in a summery haze.

Succede che la mia migliore amica che vive a Torino e con cui quest’estate mi sono visto relativamente poco (vale a dire: non abbiamo fatto una vacanza insieme) mi dice che lei ha il ponte dei morti di ferie forzate, in realtà non solo il ponte ma tutta la settimana.
“Puoi prenderle anche tu che ci facciamo una scappata da qualche parte io&te senza boyfriends?”
“Certo che sì” le dico anche se già mi immagino il boyfriend incazzato, ma anche il mio saperlo gestire.
Succede che poi cominciamo ad ipotizzare dove andare ed escludiamo quasi subito l’Italia, che siamo poliglotti, ma includiamo la macchina, quindi una distanza ragionevolmente raggiungibile via terra, ma escludiamo la Francia, che per due volte c’abbiamo sbattuto i’ccapo e ne abbiamo concluso che noi con i francesi non riusciamo ad averci a che fare. Continuando a valutare, consideriamo poi che essendo novembre magari uno trova anche un low cost davvero abbordabile e allora cominciamo a cercare voli. Succede che poi, non ricordo a chi dei due, ma forse a tutti e due, anzi ora ricordo, a me, viene in mente New York e quando gliela butto là, di tornare a NY da soli, che è come volevamo fare sin dalla prima volta ma ancora non era successo, lei invece di dirmi “Ma tu sei scemo” mi dice “Sai che volevo buttartela lì anche io”.
Da lì in poi sono troppo preso a pianificare&fantasticare per soffermarmi a pensare che eravamo partiti da una scampagnata e siamo finiti in America.

01/09/11

Turn it around with another round.

La nuova bicicletta è anche lei da donna, come la precedente. Trovata usata ad un biciclettaio non lontano dalla stazione per euro sessantacinque, ha le luci ma non funzionano. “Siee, che vuoi che funzioni” è stata la risposta quando ho detto al biciclettaio le luci ci sono, funzionano? Stava già mettendo i soldi in cassa. Effettivamente ad una bicicletta di seconda mano, cosiddetta ‘di fortuna’ , non si chiede poi molto, se non giusto di andare. Alla fine il suo destino è quello di farmi girare il centro più velocemente per un paio di stagioni e poi di essere fregata in tutto o in parte. Solo che, complici i mattoni sporgenti e risorgimentali delle strade di Firenze, la sera stessa, tornando a casa dopo una birra in Santa Croce, il ferro che regge il cestino davanti si è sganciato dal parafanghi, insieme al meccanismo del freno. Diagnosi: saltata la vite che tiene tutto agganciato al manubrio. Dopo un primo smarrimento, con l’insinuarsi dell’idea di averlo preso nel didietro per soli sessantacinque euro, ho percorso gli ultimi metri da casa alla benemmeglio e una volta salito, sorprendendomi di me stesso, ho recuperato una vite e riagganciato il tutto, sempre alla benemmeglio. Ora regge, anche se qualcosa di tremolante c’è ancora e il freno davanti, beh, frena poco.