Hai trentanove anni e io ventinove. Se non sono più un ragazzino io, figuriamoci tu. “Non può funzionare” mi dico, tentato di lasciar perdere tutto.
Sorridi, parliamo del più e del meno anche se non sto ascoltando. Non so se tornare a casa o aspettare ancora un po’.
Hai la barba incolta, la bocca ti sa di caffè, hai le rughe e scarpe marroni da vecchio. Niente mi fa sentire tuo alleato.
Una cosa forse sì, gli occhi scuri.
Chiedono pietà quegli occhi.
Se guardo solo quelli, riesco a vederti adolescente, ragazzino, riesco a vederti giocare, piangere, lottare. Riesco a vedere tutto quello che c’è stato e a riconoscere che forse sei sempre tu e lo sarai anche fra dieci anni o venti.
Come sono sempre io quando rifletto e mi sembra di avere ancora quindici anni, poi rifletto meglio e mi ricordo di averne ventinove, di lavorare ogni giorno, del fatto che mi prendo già un po’ cura dei miei genitori e che tecnicamente ho scollettato e non sto più crescendo. Sto invecchiando.