18/03/14

When you know what you're gonna say will leave a mark.

Sento il vizietto tornare.
Di essere qualcun altro, di esserne mille, non mi stancherei mai.
Di far ridere ed impressionare, di provare e riprovare, ogni volta in modo uguale e diverso, poi trovare la chiave giusta. Di far finta di non sapere cosa mi verrà detto o risposto, di calarmi in una situazione come mi stesse accadendo lì per lì, di far venire il dubbio se io stia dicendo o facendo sul serio a chi mi guarda.

E’ una cosa che da quando sono piccolo.
Me lo ricordo bene il momento in cui è scattato l’amore a prima vista con la recitazione: elementari (prima? seconda?), la maestra decise di metter su una recita di natale e molto democraticamente organizzò dei provini due a due per decretare la coppia di bambini protagonisti. La concorrenza era poca ma l’unanimità con cui vinsi mi pervase di immediata gratificazione. Questo, più il fatto che mi divertissi da morire nonché i complimenti delle altre mamme alla mia sulla bravura del figlio, mi fecero capire che avevo trovato la mia strada.

Con gli anni arrivavano sempre conferme sul mio “talento”, ma la frase da grande voglio fare l’attore suonò sempre in modo inverosimile. I miei erano i primi comprensibilmente a ridacchiare, specie quando lo dicevo davanti ad estranei. Continuai a dirlo per qualche anno, poi smisi. E da allora, triste da ammettere, ma non ho avuto più il mio sogno.
Paradossale invece che adesso, da uomo adulto, io sia convinto che se la fataturchina™ mi riportasse negli anni 90, percorrerei quella strada fino a farmi sanguinare le ginocchia su un teatro di provincia.
E’ vera la storia che la perseveranza nei sogni, premi. Ti accontenti anche di digiunare, di stare sveglio nella notte ed essere nullatenente per prenderti il tuo sogno. E il sacrificio non ti pesa.

Arrivato fresco fresco a Firenze, dopo anni che avevo chiuso con recite e rappresentazioni scolastiche, decisi di iscrivermi ad un corso di teatro. Era triennale, quotato e ben strutturato. Ma io ero solo un bancario, non dovevo farci nulla con la qualifica che promettevano a fine triennio.
Fui feroce con me stesso, mi tuffai da solo in un gruppo di estranei affinché solo non fossi più: per questo verso funzionò, per altri meno. Condivisi presto con i miei compagni l’incomprensione di quello che ci chiedevano gli insegnanti: erano poco pragmatici, mi aspettavo più un lavoro di pancia, scossoni emozionali, sfide con sé stessi e con gli altri (grazie a dio talvolta c’erano) ma anche molti meno discorsi trascendentali. Mi aspettavo le basi meccaniche della recitazione, gli esercizi di tecnica da imparare talmente bene da saperci poi costruire su la propria interpretazione. Ma l’incomprensione diventò troppa e con essa arrivò la mancanza di motivazione e, peggio ancora per un insegnante, di stima. Mollai dopo due anni.
Qualcosa però mi ha lasciato. Quel po’ di tecnica e di Stanislavskij che ti restano dentro come le regole della maestra delle elementari, tipo la sola parola con due Q è soqquadro.

06/03/14

You can't fix what you can't see.

Noi ci distruggiamo.
Non so bene come comincia, mi viene in mente Inception in cui si fa presente che in un sogno non ti ricordi come ci sei arrivato. E’ così con te quando ci ritroviamo a litigare e a spararci, beh sì, merda addosso. Tanta e della peggiore.
Succede mentre parliamo, quello è sicuro, parliamo molto. Ad un certo punto uno dice una frase, detta male o con un concetto scomodo. E l’altro replica, apparentemente tranquillo, con una reazione uguale e contraria, affilata più o meno consciamente. Si innesca allora un meccanismo con cui, in una crescita esponenziale, arriviamo a farci del male fino a quando quello più dolorante non lascia perdere.
Urlando in questo modo ci siamo arrivati davanti a cruscotti, a sedere su un letto sfatto, camminando per i vicoli di un paese.

Tutto ciò non mi preoccupa. I nostri amici ne ridono. Ci prendono in giro sui nostri battibecchi, ci imitano. Ma a me, a noi, non importa. Tutto riesce a ritornare come prima, entro brevissimo, non ci sono bronci: quando esausti, soli, ci ammorbidiamo tendendo la mano all’altro, non serve neanche chiedere che venga tutto cancellato e rimesso a posto come quando abbiamo cominciato, succede da sé.

Non mi era mai successo. E’ strano a dirsi ma penso faccia parte dell’intensità delle cose, delle nostre due alte tensioni che ogni tanto fanno scintille.
E’ paradossale, ma se non me ne fregasse un cazzo certi litigi non accadrebbero.

Quindi penso che litighiamo perché ci amiamo alla follia.