30/01/12

And then later, when it gets dark, we go home.

Prendo spunto dalla mia nuova bici fiorentina per fare qualche riflessione sulla vita.

La mia nuova bici fiorentina in realtà è la bici di mio padre, già in buono stato, se non che ho dovuto fargli raddrizzare la ruota posteriore perché s’era leggermente storta quella volta che – tanto per cambiare - litigando con mia madre lui, per quello stupido vizio che aveva di scassare le cose quand’era incazzato, scaraventò il velocipede da qualche parte o contro qualcosa e la ruota dietro ne aveva risentito. Erano in pineta a Viareggio in quel momento, credo.
Oltre a questo intervento, ci ho fatto aggiungere un bel cestino stabile, che poi quando la stagione migliora ci porto su Birillo per andarcene a distendere al sole in qualche parco o giardino. Così almeno possiamo lasciar perdere la vecchia bici che è un ammasso di ferraglia tenuto insieme con lo scotch. Mentre scrivo “Birillo” lui, dalla sua cuccia, ferma la zampa che gli gratta il collo e mi guarda (pensa che io stia per portarlo fuori).
Fermo restando che se qualcuno mi rubasse questa bici io potrei scoppiare a piangere in mezzo alla strada, il pensiero inevitabile su mio padre e sul fatto che i suoi oggetti siano sopravvissuti a lui fa scattare tutta una serie di ragionamenti.
La mia di vita di quì a vent’anni sarà accanto a mia madre, poche storie. Questo di sicuro fino a che anche lei non se ne andrà e io rimarrò con un pugno di mosche in mano. Nel frattempo i sogni di gloria saranno tramontati e io me la vedrò solo con la fila alle poste e la spesa settimanale. Si noti che non tocco l’argomento “vita sentimentale”.
Questo mi va bene?
Diciamo che mi deve andare, perché da certe cose non si può scappare, ma se è per questo neanche si vuole.
Questa prospettiva mi fa domandare: e poi? Quando rimarrai solo, che farai? L’unico concetto di famiglia che ti rimarrà sarà quando tuo fratello chiama lo zio zitello per il pranzo di Natale?

I pochi a cui capiterà di leggere queste righe, a questo punto penseranno “sì bimbo, però esageri eh” ma vi dirò che questa è la vita, null’altro.

Quindi?
Quindi casca a fagliolo la proposta, finora detta con simpatia ma io so che c’è un fondo di verità, della mia amica che mi dice che dobbiamo fare un figlio insieme. Io che lo volevo un figlio, ma avevo abbandonato l’idea per scrupoli sull’egoismo e sulla società. Il fatto è che a questo punto un figlio è ciò che può tenermi in vita, in termini di motivo per cui svegliarsi, andare a letto e, nel frattempo, continuare ad esistere.

Le varianti di queste prospettive sono che mia mamma un giorno “si riaccompagni” e io possa continuare ad andare in giro per discoteche o che alla fine io faccia un figlio e questo mi viene su punkabbestia odiandomi.

Ma chi può dirlo.

04/01/12

Heaven knows I'm miserable now.

Di come ho volato sul mare e di come mi sentivo un pesce fuor d’acqua e pensavo a chi non c’è più.

Era la prima volta che arrivavo su Birgi, l’ultima volta doveva pure essere così ma per le operazioni militari con la Libia pensarono bene di dirottare tutto su Palermo, comodo. La pista dà talmente sul mare, che durante l’atterraggio l’aereo sembrava quasi dover planare sulle onde, tanto era basso e tanto vedevi vicina l’acqua.
I miei zii ci sono venuti a prendere e dato che era mattina presto si è subito cominciato con una genovese alla ricotta, buona.
Quello che mi investe subito quando scendo in Sicilia sono gli odori, tra cui quelli più sigjnificativi:
-          casa dei miei zii, è rimasto lo stesso odore, anche se nel tempo hanno cambiato casa;
-          il pane, ovvero il filoncino croccante al sesamo;
-          il profumo di mia zia, che ritengo sia impossibile sia rimasto lo stesso, ma tant’è.

Quando io e mio fratello eravamo piccoli, d’estate con i miei andavamo in Sicilia in macchina.
In macchina.
Dalla Toscana.
Era un viaggio interminabile, che spezzavamo in Calabria. Poi l’indomani eravamo già a mangiare un arancino sul traghetto per Messina. Mio padre guidava per ore, infatti era sempre incazzato. Non avevamo aria condizionata e sono sicuro che io e mio fratello rompevamo i coglioni dai sedili posteriori. Tuttavia non riesco ad immaginare niente di più bello. Più bello anche del volo Ryanair che ci mette un’ora, neanche te ne accorgi e sei in Sicilia, che un tempo dire Sicilia mi faceva venire in mente l’altro capo del mondo.

Poi c’è stato il cenone, eravamo una ventina a casa di mia zia che s’è spezzata la schiena per tenere insieme tutti i pezzi. C’erano i miei zii sessant-settantenni, i miei cugini quarantenni e i loro figli decenni. Mancava la mia generazione, di cui ero l’unico rappresentante, infatti non mi sentivo granché stimolato. Volevo bere, ma poi non ho fatto neanche quello.
Cercavo di tenere alto il morale, specie quello di mia madre, che sembrava non averne bisogno. In realtà mi sentivo strano io, in realtà già dall’arrivo, in realtà sapevo benissimo perché. Sentivo pulsare qualcosa, ed era per lo stesso motivo per cui porto una fede non mia al dito sbagliato della mano sbagliata. Per lo stesso motivo per cui “il dolore c’è ed è di chi ce l’ha”.
Poco prima della mezzanotte sono uscito in giardino e subito quello stupido di cane è venuto ad elemosinare delle carezze, e se smettevo mi leccava il palmo e infilava il muso sotto la mano. Mi sono messo a guardare le luci arancioni che partono da Valderice verso il mare, qua e là qualche scoppio di fuochi colorati, si stava bene anche senza cappotto.

Quando sei bambino e piangi, di quel pianto disperato col singhiozzo che quasi ti soffoca quando lo scavalchi, la soluzione migliore è addormentarsi.
Ed è l’unica soluzione che vedo possibile per passare da un giorno all’altro.