20/12/11

Maybe I definitely know.

La mia sveglia coincide con le campane di qualche chiesa qui vicino. Per questo di solito, quando sta per suonare, sono già in dormiveglia. Accendo la luce sul comodino e adesso  ti vedo, seduto dentro la tua cuccia accanto al mio letto, che già mi stai guardando con un’espressione tipo bambino la mattina di natale che non vede l’ora di saltare giù dal letto per scartare i regali. Tu però mi guardi così per il solo “che bello ti sei svegliato anche tu finalmente, siamo di nuovo al mondo insieme, ti voglio bene, dammi una carezza”. Sei seduto sulla tua coda, che sta scondinzolando ma di lei si muove solo l’estremità e l’effetto è buffo.

E’ vero come dice un’amica mia che quando un cane scodinzola, ti sta sorridendo.

01/12/11

Leave nothing on the street to explore.

Non sto lì a raccontare quanto me la sono menata prima di decidermi a prendere un cane, dato che le origini di questo processo si potrebbero rintracciare sin da quando, da bambino, ho visto il primo esemplare in vita mia.
Questo racconto comincia, e proseguirà molto probabilmente in real time su questi schermi, dal momento in cui sono entrato in contatto tramite questo sito con la volontaria che si prende cura del nano-peloso-I-fell-in-love-with, oltre che di altri randagi digraziati.
C’è stato uno scambio di informazioni reciproche a distanza, prima via emai, ho ricevuto altre foto che hanno confermato il colpo di fulmine, poi contatti via telefono, poi la compilazione di un questionario di preaffido un po’ stupido, tentativi da parte della volontaria di sondare la mia reale convizione di prendere il peloso con me, poi l’attesa che una volontaria in loco venisse a valutare il mio immobile, altri discorsi per scoraggiare (ma i canili non li volevano sistemare i pelosi una volta?) e forse, dico forse e dico quasi, ci siamo, quasi.
Devo ancora avere conferma, ma forse questo weekend una staffetta lunga quanto l’Italia, fatta sul serio da volontari altruisti ed infaticabili, me lo porterà al casello di Firenze Sud, il tutto a proprie spese, e l’avventura comincerà, con mia madre che scuote i’capo sullo sfondo ed io che ad ogni bestemmia me ne innamoro sempre più.

17/11/11

The horses are coming, so you better run.

Sono convinto che a fare trekking a gran velocità con una bici usata e precaria su questi mattoni grigi di città prima o poi mi partirà un pezzo, un pezzo importante tipo una ruota, e io mi ritroverò ribaltato o comunque in una caduta che avrà del comico per chi potrà assistere, spero saranno turisti perché sono di sicuro più buoni dei locali.
Per il momento però mi godo la libertà che un velocipede dà in un centro manegevole come quello di Firenze e anche se ho freddo alle mani e alla fronte, perché mi dimentico sempre di bardarmi a dovere, mi piace muovermi veloce per queste strade strette e antiche, alzare il naso e vedere un lampione che quasi quasi va a gasolio o lo scorcio di vecchie travi da una finestra piccola di una casa che mostra una luce calda.

Ok, le ultime righe sono troppo poetiche, stemperiamo con qualcosa di più terra terra: dopo aver mangiato all’osteria da Giorgio dove per 13€ ti danno primo secondo e contorno da annaffiare con acqua e vino rigorosamente rosso e di ignota provenienza, abbiamo ripreso le nostre bici legate insieme, che la cosa del legare le bici insieme io la trovo molto intima, e siamo andati in zona S.Croce, con una tappa da Rivareno, però chiuso, allora da Vivoli, chiuso anche quello, allora da Neri, che noi sto gelato d’inverno lo volevamo proprio e poi alla fine io ho optato per una crepe alla nutella facendo scuola ad un gruppo di americane disinibite in maglioni oversize, leggings e capelli non spazzolati che ripetevano “And I was like: OMG”. Poi siamo andati in via de’ Macci, tenete conto che la cose è tracciabile tramite Foursquare perché ho fatto check-in in tutte le tappe, dicevo in via de’ Macci ho ricevuto un regalino di compleanno zuccheroso e abbiamo trovato le ragazze, belle e disinibite anche loro, che quasi quasi fanno sesso anche a me se non fosse che mi fa sesso altro. S’è bevuto un shot (fa giovane lo shot) e uno Jägermeister (per scriverlo bene ho cercato su google) e alla fine un po’ di botta l’avevo così il vecchio che è in me (sempre io) ha pensato bene di riprendere la bici e tornarsene a casa pedalando a tutto fo’o, da qui la riflessione sulle ruote che potevano anche sganciarsi.

- Run fast for your mother, run fast for your father
Run for your children, for your sisters and brothers
Leave all your loving, your loving behind
You cant carry it with you if you want to survive
-


14/10/11

I wouldn’t change a single thing.

Per intenderci, non è tanto che quest’anno c’è il Censimento e che a me di questionari ne sono arrivati tre (uno per posta, quello previsto, e due brevi manu da mamma e zia perché “tu sei più bravo in ste cose”).
Non è neanche che ho dovuto già avere a che fare con operai e meccanici e tecnici furbetti, provando una gran rabbia per le ingiustizie sociali e per le fregature personali.
Non è manco la burocrazia, così tanta da dare alla testa e da farmi concludere che non riuscirò mai a stare dietro a tutto, ma provandoci almeno mi perderò il meno possibile.
Non è neppure che mi ritrovo single nel momento in cui forse questo mi serviva di meno, o magari mi serviva proprio questo, perché chi mi stava accanto non meritava che fossi così distratto.
Non è neanche il gran silenzio, di sottofondo.

E’ che mi manchi. Visceralmente.
Che mi piacerebbe credere al soprannaturale, poi però tocca scuotere la testa e farci su un sorriso.
Che certe volte, mentre guido da solo in macchina, e dio solo sa quanto mi è capitato ultimamente, provo a dire PAPA’, la mia voce e l’istintività della parola rimbalzano nell’abitacolo e mi fanno impressione, ed è come mettere un dito in una ferita e questa comincia a frizzare.

 Ma sì, è normale. E’ normale che tu per ora ti senta apparentemente bene, che riesci anche a sorridere. E’ esattamente come quando ci facciamo male su qualche punto del corpo: lì per lì senti molto male, poi le terminazioni nervose intorno alla ferita vengono inibite dall’organismo, per permetterci di sopportare il dolore e allora ti sembra che non ti faccia così male. Quando però i nervi tornano a funzionare e si riacquista lucidità, la ferita riaffiora e torna lì a pulsare  e ricordarti che c’è. Finché non guarisce e lascia spazio ad una cicatrice.

08/10/11

And I don't need an excuse, 'cause I'm wearing my brand new shoes.

Con lei poteva succedere che eravamo in coda per entrare in una discoteca o dentro la discoteca stessa e io individuavo qualcuno di figo che poteva interessare a me o a lei (questo a seconda del tipo di discoteva che stavamo facendo la fila per), magari davvero carino e lei storceva il naso e io non capivo perché e alla fine se ne usciva con un tono che non lasciava spazio alla considerazione e questa frase “Sì ma hai visto che scarpe c’ha?” e si girava da un’altra parte, capitolo chiuso, mentre io allora gliele andavo a guardare le scarpe e veniva fuori che dal fondo dei jeans gli sbucavano le punte allungate di una calzatura (peggio ancora se stivale) pitonata, nera o - ahimè - chiara.
Con lui invece capitava che mi parlasse di qualcuno che aveva conosciuto, pieno di qualità, un ottimo candidato per accasarsi e cointestare il conto corrente, una descrizione perfetta fatta però con un tono che nascondeva un epilogo distruttivo e il mio amico infatti sospirava, scuoteva la testa e diceva “solo che c’aveva delle scarpe inguardabili” descrivendo un modello attribuibile a Geox o NeroGiardini, insomma la scarpa ortopedica è ciò che lo separava dal principe azzurro.
Io questo punto di vista per anni non sono riuscito a farlo mio e anche quando me lo suggerivano cercavo di ignorarlo. Ora, a quasi venti-otto anni devo dire che, caspio, tanti elementi possono portare fuori strada e farci convincere che la persona che stiamo frequentando non sia quella giusta, tipo che si incazza di brutto per cinque minuti di ritardo (pazzo) o che dobbiamo metterci scalzi per entrare in casa sua (maniaco), ma quella delle scarpe, gente, è meglio che la consideriate perché vi dà subito un’idea veramente significativa di chi avete davanti, un’impressione che altrimenti vi fareste solo al terzo-quarto appuntamento, e capirete che in tempi di crisi risparmiare su qualche cena, bevuta o benzina male non fa.

03/10/11

The story begins again and again.

Mi guardi mentre faccio scivolare la cioccolata fondente fusa sul trancio di panna cotta, prima il mio, poi il tuo: a te non verrebbero mai in mente sti dessert goderecci fatti con quello che uno si ritrova nella dispensa, ma a me sì. E poi te la magni pure tu pensando “che idee brillanti che c’ha mio figlio”. Purtroppo non è l’unica cosa che ti frulla per la testa stasera, e neanche a me. Lo so esattamente cosa provi e vorrei stringerti tanto fino a farti tranquillizzare. Non ne ho voglia neanche io di tornarmene da solo nell’appartamento vuoto di una città che non sento mia. E soprattutto di lasciare te qui da sola.

E’ la culla la nostra condanna, perché passiamo il resto della vita a sentire la mancanza del suo tepore, a renderci conto ogni giorno di più che là fuori è dura ed è freddo e non gliene importa più niente a nessuno di noi.

29/09/11

I don't want your simpathy.

Siamo in quel momento detestabile in cui l’aereo è atterrato a destinazione e tutti si sono già alzati ma devono ancora aprire le porte quindi siamo ingessati in un fermo immagine dato dalla mancanza di spazio. Solitamente in questo momento a me scappa forte la pipì perché non sono riuscito a farla in volo – infatti conosco bene la mappatura dei cessi dell’area arrivi di molti aeroporti, quelli di Londra a memoria. Comunque, io sto ancora seduto perché ero al finestrino e per alzarsi sul corridoio non c’è già più posto, mia cugina invece è in piedi, immobilizzata e spalmata contro un sedile, che tiene come se lo abbracciasse. La vedo che smania, ad un certo punto butta gli occhi all’insù ed emette un sibilo al contrario, a denti stretti tirando dentro l’aria, sembra quasi che scappi anche a lei la pipì ed invece dice “Mmm, se non fumo subito una sigaretta muoio”.
E io non la capisco.
Cioè, capisco quello che ha detto ma mi pare assurdo sentirne così il bisogno e far deviare poco dopo un intero gruppo di persone momentaneamente fuori dall’aeroporto, invece che farci andare direttamente da dentro al binario del treno interrato, solo perché deve riprendere una boccata d’ossigeno-alla-nicotina. Io potrei avere una pretesa simile in fatto di cibo – o pipì, appunto – ma questa cosa del DOVER fumare al punto di condizionare sé e gli altri mi sembra un’assurdità, per di più deleteria. Lei appena getta a terra la cicca si infila in bocca una gomma, ma cambia poco, la cosa è sempre deleteria.

20/09/11

Just like every cowboy sings his sad, sad song.

Non ho mai saputo abbinare i vestiti.

In realtà questa frase implicherebbe che la cosa per me sia importante, ma in realtà non è così, o almeno non lo è più. Ho un amico che passa la vita ad incrociare l’interno del colletto della camicia con la trama della cintura e gli occhiali da sole con la tonalità delle scarpe, mentre io mi preparo facendo un mix&match di quello che ho (di pulito) nell’armadio e se al termine quel che vedo allo specchio si sposa anche con i miei capelli, sono a posto, posso uscire.
Ci sono oramai molti concetti di moda, di quello che sta bene o che sta male, di quello che “va di moda” o che invece ne è passato. Questa stessa relatività rende vana l’idea che ci sia un modo corretto e non di vestirsi e abbinare le cose e la dimostrazione si ha da fenomeni come The Sartorialist, che testimoniano come lo stile sia ovunque e spesso dove non si sarebbe cercato e che a far moda sia spesso solo il gusto, l’originalità, la creatività, la libertà di espressione: tutto molto personale dunque. E’ la giusta evoluzione della moda oggi, con canoni più elastici e regole molto sottili da tendere a scomparire.

Qualche anno fa cominciavo a lavorare. Da un giorno all’altro ho dovuto rifornirmi dell’abbigliamento adeguato, avendo nell’armadio solo jeans e t-shirt. A poco a poco, con i mesi e i primi stipendi prosciugati, l’armadio si è riempito di completi, camicie, cravatte, scarpe e cinture, queste ultime rigorosamente dello stesso colore. Nonostante questo, tutt’oggi mi sembra d’avere un’armadio pieno di roba brutta ed ordinaria in cui non so ancora sentirmi a mio agio, testimone il fatto che continuo a non saper appaiare la cravatta giusta con la camicia prescelta. Riga su riga: giammai. Come anche pattern su pattern o scuro su scuro. Attenzione alle cravatte dai colori sgargianti, sempre meglio su sfondi tranquilli e le cose si complicano se anche il completo ha delle righe.
Il primo capo del cui acquisto sono rimasto soddisfatto, per la prima volta da cinque anni a questa parte di abbigliamento classico, è stato un completo invernale principe di galles vintage. Esatto: usato. Ero con amici in giro per Firenze e dopo aver passato i weekend precedenti per i grandi magazzini della Versilia in compagnia di mamma senza trovare qualcosa che non mi facesse inclinare la testa e storcere la bocca, ho trovato per caso questo completo di sartoria seminuovo, che mi cade a pennello, con la sua vita alta e i suoi risvolti sopra la caviglia. L’ho pagato quanto avrei pagato un completo nuovo da Fabbri Giancarlo e devo dire che li vale tutti, uscito com’è dal baule di qualche elegante nonno aristocratico.

13/09/11

We were born and raised in a summery haze.

Succede che la mia migliore amica che vive a Torino e con cui quest’estate mi sono visto relativamente poco (vale a dire: non abbiamo fatto una vacanza insieme) mi dice che lei ha il ponte dei morti di ferie forzate, in realtà non solo il ponte ma tutta la settimana.
“Puoi prenderle anche tu che ci facciamo una scappata da qualche parte io&te senza boyfriends?”
“Certo che sì” le dico anche se già mi immagino il boyfriend incazzato, ma anche il mio saperlo gestire.
Succede che poi cominciamo ad ipotizzare dove andare ed escludiamo quasi subito l’Italia, che siamo poliglotti, ma includiamo la macchina, quindi una distanza ragionevolmente raggiungibile via terra, ma escludiamo la Francia, che per due volte c’abbiamo sbattuto i’ccapo e ne abbiamo concluso che noi con i francesi non riusciamo ad averci a che fare. Continuando a valutare, consideriamo poi che essendo novembre magari uno trova anche un low cost davvero abbordabile e allora cominciamo a cercare voli. Succede che poi, non ricordo a chi dei due, ma forse a tutti e due, anzi ora ricordo, a me, viene in mente New York e quando gliela butto là, di tornare a NY da soli, che è come volevamo fare sin dalla prima volta ma ancora non era successo, lei invece di dirmi “Ma tu sei scemo” mi dice “Sai che volevo buttartela lì anche io”.
Da lì in poi sono troppo preso a pianificare&fantasticare per soffermarmi a pensare che eravamo partiti da una scampagnata e siamo finiti in America.

01/09/11

Turn it around with another round.

La nuova bicicletta è anche lei da donna, come la precedente. Trovata usata ad un biciclettaio non lontano dalla stazione per euro sessantacinque, ha le luci ma non funzionano. “Siee, che vuoi che funzioni” è stata la risposta quando ho detto al biciclettaio le luci ci sono, funzionano? Stava già mettendo i soldi in cassa. Effettivamente ad una bicicletta di seconda mano, cosiddetta ‘di fortuna’ , non si chiede poi molto, se non giusto di andare. Alla fine il suo destino è quello di farmi girare il centro più velocemente per un paio di stagioni e poi di essere fregata in tutto o in parte. Solo che, complici i mattoni sporgenti e risorgimentali delle strade di Firenze, la sera stessa, tornando a casa dopo una birra in Santa Croce, il ferro che regge il cestino davanti si è sganciato dal parafanghi, insieme al meccanismo del freno. Diagnosi: saltata la vite che tiene tutto agganciato al manubrio. Dopo un primo smarrimento, con l’insinuarsi dell’idea di averlo preso nel didietro per soli sessantacinque euro, ho percorso gli ultimi metri da casa alla benemmeglio e una volta salito, sorprendendomi di me stesso, ho recuperato una vite e riagganciato il tutto, sempre alla benemmeglio. Ora regge, anche se qualcosa di tremolante c’è ancora e il freno davanti, beh, frena poco.

25/08/11

It sucks to be you right now.

Sono giorni davvero strani, corti e nello stesso momento infiniti, caldi, talmente caldi che quando rientro a casa il pomeriggio non apro le finestre altrimenti disperdo freschezza: mi spoglio soltanto e mi metto a vedere Hannah Montana. Giorni in cui non sporco una pentola ma mi sembra di mangiare comunque troppo e male, giorni in cui rimando un sacco di cose come fare la spesa o ricomprare la bici, dopo che della prima mi hanno fottuto la ruota posteriore*, per girare per Firenze decentemente; dovrei poi chiamare l’omino dell’aria condizionata che è rotta da due anni, anche se sarà pieno di lavoro con sto caldo e mi verrà solo a ottobre.
Insomma, sono giorni scombinati. C’entra il periodo estivo che mi ha sempre sfasato: io ero lo sfigatino a cui a settembre non dispiaceva tornare a scuola, perché trovavo confortante l’organizzazione delle giornate e delle settimane, il ritmo sveglia-scuola-pranzo-compiti-cena-letto era una sicurezza. Vivendo in città inoltre mi scontro con una cosa che a Viareggio non succede, ovvero la fuga durante il mese di agosto di qualunque essere vivente verso altri lidi: a te, che hai sempre lavorato ad agosto, sembra di abitare su Marte.
A dare un “aiuto” a questi giorni, poi, c’entra ovviamente tutto il resto, di cui sopra.

Se dovessi assaporare la sensazione che provo adesso, direi che siamo sull’apatia, con un retrogusto amarognolo di depressione e pinoli, sì. Però c’è anche una base dolce di ottimismo, magari con un po’ di burro. L’ottimismo è dato dalla voglia di ripartire, di non veder l’ora che tutti gli amici rientrino in città, che negozi e locali riaprano regolarmente invece di deluderti con le loro chiusure o mezze giornate ed infine che i miei adorati corsi serali ripartano, per riempire giornate e soprattutto testa. Voglio andare avanti, scontrarmi con il prossimo natale in cui, impegno preso, cucinerò io, non importa cosa o come, quel che importa è essere ancora intorno alla stessa tavola. Vorrei affrontare, incassando ma stratificandomi, tutto quello che verrà, senza aver paura degli errori che purtroppo, si fanno. Però servono.
*Lo so che qualcuno si sta chiedendo “perché ti ricompri tutta la bici invece di andare a far mettere la ruota?”. La risposta è data dal fatto che la bici in sé era già usata e pagata 60€, vivendo in centro, dove sono tutti gioiellieri, pagherei il rimpiazzo della ruota quanto un’altra bici. E poi comunque l’ho già fatta portare via dalla Quadrifoglio.

17/08/11

I've been california wishing on these stars.

Vorrei aggiornarlo, questo blog, ma non mi viene in mente niente di più “profondo” di cui parlare che non sia la morte di mio padre e la mancanza che ho di lui, e mi vengo a noia e mi faccio tristezza da solo.
Lo sogno quasi ogni notte, sempre vivo, pur avendo nel sogno la consapevolezza che è strano che sia lì, ma non mi faccio tante domande, magari sono consapevole anche di stare dormendo.

 Ieri sera, sotto il cielo stellato di Scandicci, quando il caldo ha lasciato spazio ad una freschezza talmente buona, mentre passavano un film di Woody Allen al cinema all’aperto sulla terrazza del comune, io stavo bene, con i miei sandali ai piedi e mia madre accanto. E contemporaneamente sentivo nel petto l’animo strizzato dai “non più” e “per sempre”.

Basta.
Giuro che al prossimo post parlo del lavoro o della ricetta della ricotta&pere.

20/07/11

Thoughts and clouds can drift or sway.

Da un'email ad un'amica:

"Mia mamma mi ha scoraggiato sul cane, adducendo le solite ragioni. Mi viene rabbia. Certo, diciamoci la verità, il cane lo vorrei io. Ma mi pare che quello che è successo a mio padre non ci stia insegnando niente e che questa cazzo di vita sia ancora tutto un "meglio di no, poi vediamo" e intanto la vivi con il CONTINUO desiderio di qualcosa che ti convinci che è meglio non fare o avere, per il momento, anche se ti piacerebbe tanto. In realtà un giorno si muore e basta, non succede NIENTE, non hai gratificazioni e non vai in paradiso, ci ho pensato ed in realtà non è un mistero, l'uomo lo sa già cosa c'è dopo la morte: NIENTE, se non fine delle funzioni vitali e tessuti che si decompongono. Se questo non basta a convincersi di doversele sparare mentre sei ancora vivo, le cartucce, allora io non so cosa debba convincerci. A rimandare e ad aspettare tempi migliori passano gli anni e i decenni; quali tempi migliori, poi? E' proprio detto che ce ne siano? Nel mentre la vita può mettertele anche peggio le cose o in ogni caso invecchi o, appunto, muori.


Scusami, ma sono incazzato e mi verrebbe da prendermelo io e basta il cane, senza chiedere permessi o pareri a nessuno, e magari lo farò."

06/07/11

Yesterday, all my troubles seemed so far away.

Adesso c’è un prima e un dopo. Tutto quanto sembra diviso da uno spartiacque, da uno shock che ha azzerato tutto e ci ha sconvolto la vita, rendendola priva di senso, anche se ti riempi la bocca di frasi tipo “bisogna reagire” e “si cerca di andare avanti”.
Siamo rimasti disarmati, letteralmente. Mi sento senza un tetto, senza una scialuppa di salvataggio o una coperta calda. Senza più nessuno che saprà darmi il consiglio giusto, che penserà più a me o saprà dirmi cosa è giusto e cosa è sbagliato a questa merda di mondo.
Ho letto due righe in chiesa del cui bisogno ero convinto sul momento ma ora mi sembra che neanche quelle vogliano dire un cazzo o rapprentare ciò che eri e che provo.
C’è che mi manchi e mi sembra di affogare, mi sale proprio il nodo in gola tipico degli attacchi di panico e le lacrime sono solo un palliativo. L’idea di vivere di ricordi mi sembra come mettersi a tavola immaginandosi il cibo. E l’idea di dimenticarseli, col tempo i ricordi, mi fa impazzire.
Mi disturba anche il pensiero che un domani io possa stare meglio: sarebbe una mancanza di rispetto, tornare ad ascoltare musica o a ridere e uscire con gli amici e scartare i pacchi a natale. Mi sembrerà come di tradirti.
 
Ti amiamo non sai quanto.

03/04/11

The placenta you were born.

Sono arrivato in Sicilia il venerdì sera raggiungendo i miei che erano già lì dai nostri parenti.
Per tutto il soggiorno mio padre si è lamentato del contesto, ovviamente avendo cura di farlo quando era in sola presenza mia e di mia madre. In realtà loro erano lì da tutta una settimana e un po’ lo capisco. No, non è vero, non lo capisco. Non capisco perché non si rilassi e prenda la vita con meno pesantezza magari un po’ più di distacco. Mancavamo da anni, a me ha fatto piacere tutto di questo weekend e a quello che non mi piaceva alzavo le spalle. Mi è dispiaciuto tornare, quello sì, anche se non ci vivrei e di questo siamo tutti sicuri.
Ho passato un finesettimana intero a mangiare, mangiare bene ma sicuramente troppo: lì ogni invitato ad un pasto porta qualcosa, sommato alle portate già presenti di chi organizza e se tu non mangi qualcosa, l’artefice si offende, anche se può non esternalizzarlo. Quasi solo pesce. E poi dolci e pane, buonissimi.
La gente è calorosa, l’accento è forte e il dialetto ancora di più (ammetto di capire un terzo di una frase in dialetto) l’aria è buona e il mare era un peccato vederselo da lontano e non poterlo sfruttare. Si vive con poco e di sicuro con quel poco si riesce a fare molto di più. Le famiglie sono numerose e le nuove coppie nascono e proliferano in fretta. Sembra tutto molto locale, pure troppo, come si perdesse di vista quel che succede nel resto del mondo. Basterebbe un po’ più di approfondimento ed interesse collettivo e le cose potrebbero essere diverse, migliori.
Mia madre era radiosa ed entusiasta di essere di nuovo lì, ma secondo me anche felice di non viverci più.

God bless Lily St. Cyr.

Girovagando a vanvera (proprio così) su internet noto un fenomeno ormai scontato che dapprima mi incuriosisce, poi mi affascina, poi mi fa insospettire, poi mi secca e poi mi fa proprio incazzare, in ogni caso mi provoca non poche domande.
Il fenomeno in questione riguarda il successo dei blogger, ed in particolare quei casi più famosi di personaggi (non chiamiamoli “persone” perché pur pubblicando informazioni e materiale  talvolta anche  molto personali, rimangono personaggi e sono sicuro che la loro vita ha altri risvolti) che in un’epoca remota e di cui si ricordano solo lettori fedelissimi hanno dato vita ad un blog su cui poi hanno ben bene lavorato, non metto in dubbio che dietro ci sia tanto impegno (perché il postare qualcosa di sensato o interessante lo è) e col passare del tempo e l’aumentare dei lettori si sono fatti conoscere e sono diventati un fenomeno di cui si è poi parlato anche fuori dalla rete (e questo è ancora una volta testimonianza che la rete è il vero presente, quando non è addirittura futuro, e tutto il resto è solo in ritardo).
Io ne conosco un paio di questi blogger, specie tra i fashionisti, ma sono sicuro che ce ne siano a quintalate che ignoro.
Fin quì sembra una bella storia di bravura, duro lavoro e un pizzico di fortuna. Ma la cosa non mi convince fino in fondo.
Faccio fatica a credere che un Bryanboy sia partito dal postare giornalmente i cavoli suoi conditi col suo amore per la moda (chi non ne è innamorato) e a distanza di pochi anni sia invitato con posto d’onore a tutte le sfilate e beva il tè con Anna Wintour. Come faccio fatica a credere che Perez Hilton abbia fondato un blog perdendo le sue giornate a parlare di quel gossip che puoi reperire anche in migliaia di altri siti ed oggi si smessaggi su Twitter con Lady Gaga.
Quì c’è qualcosa sotto.
Prendiamo proprio Bryanboy: da quel che mi ricordo, quando ancora il suo url era quello della piattaforma di blog da cui lanciava idiozie e non il dominio registrato di adesso, si è sempre potuto permettere borse da migliaia di euro e scarpe di pitone, ci si faceva le foto con l’autoscatto, me lo ricordo. Comprava già su LuisaViaRoma, tant’è che me lo ha fatto scoprire lui il sito (per navigarci, mica per comprarci, io non posso). Dubito che i banner pubblicitari che metti sul tuo blog supervisitato ti rendano così ricco da permetterti due borse di Louis Vuitton al mese e far sì che dopo un paio d’anni Marc Jacobs ne battezzi una col tuo nome. Ho provato a fare qualche ricerca sul web per capire le sue vere origini, ma è come se nessuno se ne fosse interessato e se si legge l’intervistina infiocchettata che vogue.it gli ha fatto, non ci si trova niente che già non si sappia o che non abbia a che fare con sogni che si sono avverati (fosse per me, se potessi permettermi abbigliamento e accessori di quel genere avrei già tutti i miei sogni avverati).
 Cosa mi chiedo io? Semplice: chi è Bryanboy? Di chi è figlio? Perché ha così tanti quattrini? Cosa c’è sotto? Stesso dicasi per Chiara Ferragni, che dopo due post letti dal suo blog ho dovuto smettere per l’incazzatura sulle borse Dior nelle sue foto.

La mia è solo invidia?
Probabilmente è anche invidia. Ma è anche una specie di senso di rivendicazione per quei milioni di blogger che scrivono cose, pensieri o racconti brillanti, le cui parole spesso si perdono, sono occasioni mancate per chi non le legge.
Le cavolate che scrivo io sono principalmente per me, non sono abituato ad avere commenti ma scrivo lo stesso, è il solo mio modo per lasciar traccia a me stesso. Che esperienza rileggersi, rileggere del proprio dolore, dei propri errori o della propria felicità. E’ come sfogliare un album fotografico ricordandosi le scene, ma sei tu che te le racconti.

03/03/11

How can I protect something so perfect without evil?

Qualche giorno fa, ad un mese di distanza dall’ultima volta, decido che forse è il momento di tornareare a fare la spesa, dato che avevo dato fondo anche alle riserve di surgelato.
In passato per un periodo avevo sperimentato il supermercatino sotto casa, ma questi buchi di negozi del centro hanno due reparti, poco assortimento e prezzi da oreficeria. In un secondo momento ho sperimentato il servizio Esselunga-a-casa, ma ti portano la roba dopo due giorni e in quei due giorni ho rischiato di morire o di mangiarmi la credenza, in più venifo offeso da amici, colleghi e perfino genitori. L’obiettivo di tutto ciò comunque era di non spostare la macchina, ma alla fine ho dovuto cedere e tornare al vecchio metodo diMaometto alla montagna.
Insomma, decido che è il momento di tornare all’Esselunga di via Masaccio. Arrivo e mi infilo nel mio bel parcheggio sotterraneo, che poi il cassiere ti da aggratis il biglietto di uscita – e ciò mi fa gusto – e faccio quel che devo fare. Tornando col mio bel carrellino al parcheggio per caricare le buste in macchina, si mette a fuoco man mano che mi avvicino tutta una sgraffiatura/ammaccatura dell’angolo sinistro del paraurti posteriore. Mi blocco a guardare. La stronza che stava con me nell’ascensore mi passa accanto, capisce la scena e sghignazza. Nel frattempo saltella fuori dall’auto accanto – troppo accanto – una squinzia con in mano credo il libretto di istruzioni del motore pensando invece di averci gli estremi dell’assicurazione, mi pare dicesse qualcosa tipo “Scusascusaècolpamianonsocomefunzionatidoimieidatiscusascusa”.Ora la macchina è dal carrozziere. Pagherà la sua assicurazione, ovvio, certi mi dicono che sono stato anche fortunato che si è fatta trovare, ma a me viene solo da pensare che dovrei vendere la macchina e comprarmi il monopattino.

23/02/11

Quell'allegria che è fatta di niente.

Ho cominciato a sentirmi parte del posto in cui sono nato dal momento in cui ho dovuto andarmene.
La mia famiglia non è di lì, nessun legame, nessuna parentela in loco, niente di niente. I miei, appena sposati, ci sono finiti per caso. Le mie origini sono da ricercare altrove, in giro per il sud, a dire il vero per tre quarti nel profondo sud quale Sicilia, terra che amo anche lei.
Però a Viareggio io ci sono nato e ci ho passato tutta la vita, e così rimarrà per sempre. La sua aria di mare è stata la prima che ho respirato, il suo accento toscano sguaiato è stato quello che per primo mi ha contagiato, anche se il modo diverso di parlare dei miei genitori mi ha permesso di saperlo gestire. E a dire il vero i miei non ci hanno mai tenuto che mi legassi a questa città, non per qualche motivo in particolare ma semplicemente perché per loro rappresentava poco (oggi so che non è così).
In ogni caso, che tu te ne accorga oppure no, finisci per metterle le radici e pur ignorandolo durante infanzia e adolescenza, in venticinque anni io ho messo le mie a Viareggio e sono più profonde di quanto credessi.

A fine giugno di due anni fa ero a Firenze, mi ci ero trasferito da poco per lavoro. Ero a letto e verso mezzanotte un mio amico mi scrisse se stessi bene, che era successo qualcosa. La tragedia in questione non coinvolse fortunatamente nessuno tra i miei familiari o amici, tuttavia fece venire in superficie quel senso di appartenenza di cui sopra, fino ad allora sottovalutato.
Questo è lo stesso che sento al carnevale, che sento d’estate al sole o sul molo a ridosso del mare con le Apuane alle spalle. Lo stesso dei tramonti profondamente arancioni o delle luci di notte da un aereo che sta atterando su Pisa.
Il motto di Tobino “Viareggio in te son nato in te spero morire” suona alquanto patriottico, ma tant’è.