28/12/12

I wanna scream and shout and let it all out.

Hai trentanove anni e io ventinove. Se non sono più un ragazzino io, figuriamoci tu. “Non può funzionare” mi dico, tentato di lasciar perdere tutto.
Sorridi, parliamo del più e del meno anche se non sto ascoltando. Non so se tornare a casa o aspettare ancora un po’.
Hai la barba incolta, la bocca ti sa di caffè, hai le rughe e scarpe marroni da vecchio. Niente mi fa sentire tuo alleato.

Una cosa forse sì, gli occhi scuri.
Chiedono pietà quegli occhi.
Se guardo solo quelli, riesco a vederti adolescente, ragazzino, riesco a vederti giocare, piangere, lottare. Riesco a vedere tutto quello che c’è stato e a riconoscere che forse sei sempre tu e lo sarai anche fra dieci anni o venti.

Come sono sempre io quando rifletto e mi sembra di avere ancora quindici anni, poi rifletto meglio e mi ricordo di averne ventinove, di lavorare ogni giorno, del fatto che mi prendo già un po’ cura dei miei genitori e che tecnicamente ho scollettato e non sto più crescendo. Sto invecchiando.


19/12/12

It's been years since someone asked me to dance.

Disteso sulla penisola del divano, credo che i miei piedi, che si frappongono tra me e il televisore, stiano esattamente a metà strada. Distendo le punte come un ballerino.
“Dovrei formattare il pc che non funziona da mesi” penso e mi prende lo sconforto e tutt’a un tratto Extreme Home Makehover mi sembra esageratamente interessante per muovermi da dove sono.
Il cane si gonfia e si sgonfia, raggomitolato dentro sè stesso proprio accanto a me. Se la dorme, ma se alzo un dito lui apre un occhio o gira un orecchio.
“Dovrei anche fare una lavatrice” ma decido di svegliare il cane e mi metto a giocarci, si badi, esattamente da dove sono. Tanto è lui che tira e corre e salta e io mi chiedo con quale voglia.
“Cazzo stasera tocca anche la doccia” subentra la depressione da delusione di me stesso per la pigrizia causata anche dal fatto che sono depresso perché non combino un cazzo. E’ un cazzo di circolo vizioso del cazzo.
“E per cena che mi faccio?” penso al minestrone surgelato che ho nel freezer e comincerei a piangere. Mi alzo, basta. Anche perché devo fare la pipì.
Decido di chiamare per una pizza a domicilio. Di nuovo. infatti la signorina al telefono mi dice che siccome chiamo spesso ho diritto ad una bibita omaggio. Mi prende una fitta al petto, dico che va bene così grazie.

C’è bisogno di una svolta.

27/08/12

Try desperately to think of the politest way to say.

Del paese dei balocchi, sarebbe a dire: “Mei troia che morì de oia”.

Il Luna Park dove ho trascorso la mia vacanza estiva è un’isola e si chiama Mykonos.

E’ ventosa, ventosa in modo scenografico, in modo da non farti mai sudare ed in modo che capelli e vesti ti si muovano nel modo giusto.
Non ci sono spigoli a Mykonos, gli edifici hanno questi angoli stondati così bianchi e morbidi che sembrano fatti di panna o yogurt.
E’ percorribile in motorino, sì, non è troppo grande, ma ha salite e discese molto ripide e promontori che offrono una vista e degli scorci tali da valer la pena di essere andati fin là.
Ma c’è anche qualcos’altro per cui vale la pena andare fin là.

Non c’è cocacola normale, a Mykonos. Ne ho chiesta una ad un bar in spiaggia che rimbombava di musica house e la ragazza al bancone mi fa: “Light Coke?” non capivo, avevo detto solo cocacola. Poi mi guardo intorno e vedo una coppia di superpalestrati che sorseggiano una lattina di coca zero to share e allora forse capisco.

Non c’è futuro a Mykonos, ma soltanto un abbondante presente. Questo l’ho realizzato gradualmente, quando una sera nel locale cercavo con gli occhi il Cipriota della notte precedente e ho invece conosciuto Prince Charming, bellissimo, tedesco biondo con gli occhi azzurri, alto 1 e 90. Abbiamo fatto dell’ottimo sesso e mi sono trattenuto dal riscrivergli subito l’indomani, nell’attesa di rivederlo comunque la sera. Peccato che nel locale in cui eravamo  mi sia girato al largo. Così stavo quasi per tornarmene a casa quando ho conosciuto Fabio, romano de Roma, che è stata un’ottima consolazione ma che ancora non ha accettato la mia richiesta di amicizia su facebook e comincio a capire perché.

Ora basta, si torna a casa, si torna al lavoro e ad una vita pressappoco normale dove si fanno magari anche tanti giri ma su una sola giostra che al massimo sia un BrucoMela.

08/08/12

You and I have history or don't you remember?

Di come la settimana di agosto a lavoro passerà più velocemente del previsto. E di ossessioni.

Non faccio uno di quei lavori in cui puoi stare via un mese, quindi anche quest’anno eccomi ad agosto in ufficio, col resto del mondo in ferie.
La mia giornata tipo la fanno cominciare le mie palpebre che si aprono un minuto prima della sveglia, ovvero alle 6.59. Pochi secondi e anche lei suona e dopo averla spenta controllo le notifiche sul cellulare, nonché se mi hai scritto, di solito no. Il cane già mi guarda del tipo "andiamo che ho una vescica così?".
Moka, pipì, latte e cereali al cane, notizie, incazzatura per le notizie, denti e lavaggi vari, vestizione e via, fuori al guinzaglio (il cane, non io). Mentre lui piscia in ogni spigolo ricontrollo le notifiche, nonché se davvero non mi hai scritto. Si, davvero.
Poi a lavoro, che fortunatamente in questi giorni non infierisce. Tengo il cellulare accanto al mouse, quindi il controllo notifiche è pressoché costante. Calma piatta su quel fronte.
Torno a casa presto, accaldato accendo l’aria condizionata e mi spoglio, gioco col cane che salta come un grillo, giro tutti i canali del digitale constatando ancora una volta che non c’è mai un cazzo da vedere allora collego il telefono alle casse e ascolto musica mentre mi sfondo di flessioni e addominali per fare bella figura a Mykonos, intanto penso a cosa non-mangiare per cena.
Nel frattempo arrivano delle notifiche. Non sei tu e io mi indispongo. Ti scrivo io, il mio silenzio è diventato più che sufficiente. Mi risponderai molto dopo, ma non è tanto questo, quanto che la tua risposta è sterile, amichevole o diplomatica, ma il più delle volte fuori tema.

Norah Jones cantava con dolce rassegnazione What am I to you?
Io non sono rassegnato, sono incazzato e ossessionato. E menomale che ultimamente sono spesso da solo, perché quando sei da solo fai cose pazzoidi e ossessive, tanto nessuno ti vede e non si rende conto di quanto stai messo male.

02/08/12

Riposa almeno un'ora solo se ti incontro.

Sono riuscito a dimenticarti per qualche minuto, mi aggiro per la mostra di Botero con il cane in braccio perché giù non me lo fanno stare; poi passo davanti ad un quadro e la sensazione di te mi assale di nuovo. La sensazione prima del ricordo vero e proprio, perché ci metto un po’ a focalizzare: la donna nuda e morbida in primo piano distesa su un fianco ed il suo amante nella stessa posizione, che la avvolge da dietro, sulla schiena. Intimità, sicurezza e possesso. Quel quadro rappresenta con molta precisione ciò che ho provato nelle ultime due notti in cui ho avuto il privilegio di dormire accanto a te. Leggo la didascalia, il titolo è Lovers, ampio ma impreciso come il nostro legame, che non so quanto male o bene mi farà.
L’ossessione si è già impadronita di me. “Io vedo le cose bianche o nere” ti ho detto, ma non è servito e ci siamo salutati con la stessa incertezza di quando ci eravamo ritrovati tre giorni prima per un weekend infrasettimanale. “Sei uno stronzo” ti ho anche detto, ma poi non ho messo il profumo perché tu dici che ho già un buon odore. Questo è il genere di situazioni scomode ed ingestibili che ho sempre voluto evitare, a costo di vivere di sterilità sentimentale. Ma ad un certo punto c’è stato uno di quegli attimi, quelli in cui tutto potrebbe fermarsi e finire, l’universo esaurirsi nel fermo immagine della pienezza del momento: tornavamo in traghetto dal Giglio, intorno solo mare, terra in lontananza e un vento caldo in faccia. Tu disteso sulla panchina bianca, la testa appoggiata alle mie gambe, un braccio alzato ed agganciato alla mia mano. Non mi interessava niente altro, chi ci guardava, che ore fossero, se il telefono squillava e non lo sentivo, cosa sarebbe successo dopo.

16/07/12

In the velvet darkness of the blackest night.

“Mioddio cosa mi sta succedendo”
Penso, mentre un bel ragazzo mi tira a sé ai bordi della piscina di una discoteca all’aperto. Penso anche al ragazzo con cui non mi sono più fatto sentire da giorni e a quello che aspettavo si facesse sentire per combinare nel pomeriggio e invece nulla. E poi ho in tasca questo cellulare vibrante con la sua app radar maledetta e una cronologia di social network a tema sul computer che non mente.

Che cosa mi sta succedendo? Sono ancora giovane? Sono troppo vecchio? Sono perduto? Cosa voglio fare della mia vita? Cosa provo? Cosa vorrei?

In bici l’indomani, mentre pedalo verso il mare, mi sale ad occhi chiusi la solita innata voglia di vivere, con tutto l’ottimismo e giustificazionismo che comporta. Mi dico di godermi questo disordine sentimentale e che un bel giorno prenderò una sbandata bella forte, uguale a niente di quel che l’ha preceduta, soffrendo di un dolore costruttivo. E se quella sbandata poi non porterà a niente, mi sarà comunque servita per capire.

10/05/12

He thought you were the Candyman.

Sono in ufficio e mi torna in mente (e nel naso) l’odore del tipico cesso da locale gay londinese. Lo so che non è una bella immagine, ma quando bevo poi vado spessissimo in bagno e quelli dei locali gay londinesi sanno tutti dello stesso odore. Sarà un fatto di umidità.

Il ricordo che mi porto dietro da quest’altro weekend lungo londinese è di me che con gli amici vado a fare un aperitivo e neanche ho messo piede nel locale che aggancio lo sguardo su un bellissimo ragazzo. Caso strano, ricambia lo sguardo. Tra un sorso e l’altro continuo a guardarlo e lui a guardare me, così a forza di sguardi il mio bicchiedere di scadente Pinot londinese finisce subito. Poi dobbiamo andare a cena e a me gira la testa quando lui si avvicina vedendo che prendevamo i cappotti. Si presenta, capisco il nome ma non mi resta in mente. Canadese che sta a Londra. Svengo quasi, di sicuro balbetto. Mi chiede cosa farò dopo e io giro la domanda agli altri che rispondono che andremo al Village. E lui gli dice qualcosa su cui loro ridono subito, mentre a me ci vuole qualche secondo in più. Traducendo, suona pressappoco così: “Con quanta probabilità andrete al Village? Giusto per capire se il numero devo chiederglielo subito per sicurezza.”

Ora, a questo punto del racconto le mie amiche dall’Italia sostengono che io vada a Londra a fare turismo sessuale. Il che sta diventando sempre più vero.
Quella sera non ci siamo ribeccati per poco.
Ci siamo visti l’indomani per una passeggiata a Docklands. E per ammirare la vista sulla città dal balcone di casa sua.

In realtà vengo a Londra a trovare te, così lontano ma così presente.
Sono arrivato a tarda notte, abbiamo deciso che tu dormissi, dato che l’indomani lavoravi. Ho esplorato la tua nuova casa da solo e mi sono seduto sulla penisola del divano con una felicità immensa ed un’immensa tristezza nel sentire un pezzo staccarsi e partire alla deriva. E chi lo riprende più.

19/04/12

Wondering where the love went.

Di come non ho più paura del buio.

Carlo insiste perché io vada a cena a casa sua. Ci sono lui, i suoi coinquilini, gli amici dei suoi coinquilini. Dice che posso portare il cane. Non ho molta voglia di tutta questa socialità ma mi sforzo ad andare, anche perché la mia vita infrasettimanale si sta riducendo allo zero.
Arrivo e l’appartamento è già mezzo pieno. In realtà ho già visto quasi tutti in occasioni simili passate, ma ogni volta che incrocio gente, questa mi dà la mano e si presenta, che da un lato è una cosa gentile, dall’altro la manderei a fanculo. Non è colpa loro: ci sono quelle persone che vedi ad una frequenza talmente insufficiente che ti si presenteranno all’infinito come fosse la prima volta. Il problema è che tu invece te ne ricordi.
All’inizio è tutto un mio stare dietro al cane e “vieni qui” e “non andare là”, poi decido di sbattermene, che se mi hanno detto di portarlo era meglio che chiudessero anche le porte di bagni e camere da letto.
Sono venuto in macchina, quindi non posso bere, ma un bicchiere ad inizio serata me lo faccio, del primo vino rosso aperto che trovo sul tavolo, versato dentro un bicchiere da birra.
Il tempo passa in fretta. Manca il dolce e dato che sono venuto a mani vuote mi offro di andare a prendere qualcosa alla bottega dell’indiano sotto casa, unica risorsa aperta. Torno con un sacchetto pieno di grisbì e nutella e altre porcherie.
Alla fine non voglio rinunciare alle mie ore di sonno e dopo aver dato un ciao generale a tutti, compresi quelli a fumarsi le canne in terrazza, e aver constatato che nessuno si strappa i capelli, mi infilo la giacca.

A casa, appena entrato con ancora le chiavi in mano, accendo la luce e si fulmina la lampadina. Rimango in piedi nel silenzio. Il rumore sordo che ho sentito dev’essere il povero Birillo che sbatte contro la porta che si chiude. Non ho fretta di andare ad accendere un’altra luce o paura alcuna. Mi godo il momento, l’unico dispiacere è proprio quello che non avvertirò alcunché.

30/03/12

Felicità.

"[...] stringo la penna e scrivo, scelgo la parola ‘felicità’. vorrei cambiarla, scrivere di oggetti concreti, ripeterne il nome, che so ‘forbici’ ‘foglia’ ‘lampada’, ma niente, mi gira solo ‘felicità’. e scrivo. scrivo una menata sentimentale, senza troppe esitazioni, la ricordo ancora benissimo: la tua felicità mi umilia. si basta da sola, si guarda, si piace. mi esclude, la tua felicità, mi sbatte fuori dal tuo mondo. io ti desidero. non i tuoi sorrisi felici e vuoti, né i tuoi occhi, ciechi e felici, voglio te che sei felice e non hai bisogno di nessuno. mi fermo e rileggo. sterzo, improvvisamente, aggiungo, fottetevi tu e la tua felicità.[...]"

Giancarlo Pastore, Meduse

11/03/12

I can do it even better in broken heels.

E' venerdì sera e dato che ogni santa volta che vengo a Londra ci infiliamo nel West End a fare il solco in Old Compton St, stavolta i ragazzi, anche detti "le ragazze" o "le frociazze", decidono di portarmi nella zona di Clapham, che pare essere una valida alternativa. Il locale si chiama The Two Brewers, arriviamo a mezzanotte passata e fortunatamente non c'è coda all'ingresso ma il posto si sta riempiendo. Solita tiritera: 5£ perquisizione inclusa, guardaroba ed in poco tempo sono nella mischia e la mischia mi guarda chiedendosi da dove spunta questa faccia da italiano. 
Beviamo. Balliamo. Beviamo. Giriamo, balliamo, beviamo. E con le tre pinte di inizio serata si può dire che adesso sono ubriaco. Ad un certo punto, attraverso un gioco di prestigio quadrangolare, mi sto scambiando sguardi con: 1. Un manzetto in maglietta verde, da solo, appoggiato ad una colonna a bordo pista, espressione tra l'assorto e l'ebete ma grandi occhi celesti e bel fisico; 2. Una ciuffessa che balla credendoci parecchio insieme alle sue amiche molto britanniche e molto attopate, si percepisce che non sia il massimo della mascolinità ma è carino e anche lui bel fisico. C'è però il rischio-arrizzacazzi, l'atteggiamento è un po' quello; 3. Un bel ragazzo moro, alto, quell'adorabile faccia da inglese per bene, tant'è che indossa camicia, pantalone e scarpe classiche, molto probabilmente ha tirato a diritto dal lavoro. Lovely. Balla (or at least he's trying to) con un paio di altri amici sullo stesso tipo. Se volete farvi un'idea, ricorda un po' lo Hugh Grant di Quattro Matrimoni e un funerale. Hugh non mi sembra un topo da discoteca, però stranamente lui ed i suoi amici ballano sempre più vicini a noi e ad un certo punto rimaniamo entrambi soli in pista e lui viene verso di me. Tutta questa iniziativa gli fa guadagnare mille punti. Tuttavia io non so cosa farò, perchè in England ci ho sempre solo ballato e mai trombato, e vi ricordo che qui parlano tutti inglese, e io lo mastico ma ora sta venendo verso di me un madrelingua britannico e la musica è così alta che io fatico anche a sentire i miei pensieri. In più sono ubriaco. Troppo tardi, è arrivato, mi tende la mano e dice "Hi, I'm #%@&€" capisco il senso ma non il nome, mi presento, c'è uno scambio di battute in cui gli dico che sono italiano. Perdo i miei amici, io e Hugh (continuiamo a chiamarlo così perchè anche quando gli dirò "Sorry, once again your name is...?" non lo capirò) ci spostiamo a chiacchierare dove c'è meno casino, lui mi racconta che ha 29 anni ed è un insegnante di musica alla secondary school, io già mi vedo a trasferirmi a Londra per sposarmi con lui e prendere insieme un flat ad Hammersmith. Ad un certo punto di questo film mi dice se voglio ballare e giuro che è la cosa più normale che si possa chiedere in un club, ma a me sembra così elegante, dolce e old-fashion, visto che pensavo che il passo successivo fosse la limonata sul divanetto, a questo sono stato abituato. Hugh non è un pissero, e la limonata infatti arriva mentre balliamo. E' bravo e sexy e maschile e ad un certo punto mi sussura "Would you like to step by at my place for tonight? I literaly live at ten minutes walking from here" o qualcosa del genere. Io questa frase la devo prima ascoltare, poi capire e poi metabolizzare. La risposta che ho già in mente è SI ma prendo del tempo e gli dico che devo trovare i miei amici e sentire, e mentre faccio il giro del locale barcollando, mi interrogo su quello che è giusto e sbagliato, faccio il conto degli anni che ho, scomodo santi in paradiso e cerco di capire in che parte di Londra sono e come riuscirei a tornare a casa con i mezzi.

E questa è la storia di quando ho passato la notte a casa di un ragazzo sconosciuto, risvegliandomi l'indomani sconvolto come nei film, l'imbarazzo reciproco, prendere la porta con i vestiti della sera prima, lui ancora nudo sotto il piumone che mi chiede se voglio un caffè, io dico "No, thanks" ed esco dal suo appartamento prima di incrociare qualche coinquilino.
Con un enorme sorriso stampato in faccia mentre scendo nella stazione di Brixton.

30/01/12

And then later, when it gets dark, we go home.

Prendo spunto dalla mia nuova bici fiorentina per fare qualche riflessione sulla vita.

La mia nuova bici fiorentina in realtà è la bici di mio padre, già in buono stato, se non che ho dovuto fargli raddrizzare la ruota posteriore perché s’era leggermente storta quella volta che – tanto per cambiare - litigando con mia madre lui, per quello stupido vizio che aveva di scassare le cose quand’era incazzato, scaraventò il velocipede da qualche parte o contro qualcosa e la ruota dietro ne aveva risentito. Erano in pineta a Viareggio in quel momento, credo.
Oltre a questo intervento, ci ho fatto aggiungere un bel cestino stabile, che poi quando la stagione migliora ci porto su Birillo per andarcene a distendere al sole in qualche parco o giardino. Così almeno possiamo lasciar perdere la vecchia bici che è un ammasso di ferraglia tenuto insieme con lo scotch. Mentre scrivo “Birillo” lui, dalla sua cuccia, ferma la zampa che gli gratta il collo e mi guarda (pensa che io stia per portarlo fuori).
Fermo restando che se qualcuno mi rubasse questa bici io potrei scoppiare a piangere in mezzo alla strada, il pensiero inevitabile su mio padre e sul fatto che i suoi oggetti siano sopravvissuti a lui fa scattare tutta una serie di ragionamenti.
La mia di vita di quì a vent’anni sarà accanto a mia madre, poche storie. Questo di sicuro fino a che anche lei non se ne andrà e io rimarrò con un pugno di mosche in mano. Nel frattempo i sogni di gloria saranno tramontati e io me la vedrò solo con la fila alle poste e la spesa settimanale. Si noti che non tocco l’argomento “vita sentimentale”.
Questo mi va bene?
Diciamo che mi deve andare, perché da certe cose non si può scappare, ma se è per questo neanche si vuole.
Questa prospettiva mi fa domandare: e poi? Quando rimarrai solo, che farai? L’unico concetto di famiglia che ti rimarrà sarà quando tuo fratello chiama lo zio zitello per il pranzo di Natale?

I pochi a cui capiterà di leggere queste righe, a questo punto penseranno “sì bimbo, però esageri eh” ma vi dirò che questa è la vita, null’altro.

Quindi?
Quindi casca a fagliolo la proposta, finora detta con simpatia ma io so che c’è un fondo di verità, della mia amica che mi dice che dobbiamo fare un figlio insieme. Io che lo volevo un figlio, ma avevo abbandonato l’idea per scrupoli sull’egoismo e sulla società. Il fatto è che a questo punto un figlio è ciò che può tenermi in vita, in termini di motivo per cui svegliarsi, andare a letto e, nel frattempo, continuare ad esistere.

Le varianti di queste prospettive sono che mia mamma un giorno “si riaccompagni” e io possa continuare ad andare in giro per discoteche o che alla fine io faccia un figlio e questo mi viene su punkabbestia odiandomi.

Ma chi può dirlo.

04/01/12

Heaven knows I'm miserable now.

Di come ho volato sul mare e di come mi sentivo un pesce fuor d’acqua e pensavo a chi non c’è più.

Era la prima volta che arrivavo su Birgi, l’ultima volta doveva pure essere così ma per le operazioni militari con la Libia pensarono bene di dirottare tutto su Palermo, comodo. La pista dà talmente sul mare, che durante l’atterraggio l’aereo sembrava quasi dover planare sulle onde, tanto era basso e tanto vedevi vicina l’acqua.
I miei zii ci sono venuti a prendere e dato che era mattina presto si è subito cominciato con una genovese alla ricotta, buona.
Quello che mi investe subito quando scendo in Sicilia sono gli odori, tra cui quelli più sigjnificativi:
-          casa dei miei zii, è rimasto lo stesso odore, anche se nel tempo hanno cambiato casa;
-          il pane, ovvero il filoncino croccante al sesamo;
-          il profumo di mia zia, che ritengo sia impossibile sia rimasto lo stesso, ma tant’è.

Quando io e mio fratello eravamo piccoli, d’estate con i miei andavamo in Sicilia in macchina.
In macchina.
Dalla Toscana.
Era un viaggio interminabile, che spezzavamo in Calabria. Poi l’indomani eravamo già a mangiare un arancino sul traghetto per Messina. Mio padre guidava per ore, infatti era sempre incazzato. Non avevamo aria condizionata e sono sicuro che io e mio fratello rompevamo i coglioni dai sedili posteriori. Tuttavia non riesco ad immaginare niente di più bello. Più bello anche del volo Ryanair che ci mette un’ora, neanche te ne accorgi e sei in Sicilia, che un tempo dire Sicilia mi faceva venire in mente l’altro capo del mondo.

Poi c’è stato il cenone, eravamo una ventina a casa di mia zia che s’è spezzata la schiena per tenere insieme tutti i pezzi. C’erano i miei zii sessant-settantenni, i miei cugini quarantenni e i loro figli decenni. Mancava la mia generazione, di cui ero l’unico rappresentante, infatti non mi sentivo granché stimolato. Volevo bere, ma poi non ho fatto neanche quello.
Cercavo di tenere alto il morale, specie quello di mia madre, che sembrava non averne bisogno. In realtà mi sentivo strano io, in realtà già dall’arrivo, in realtà sapevo benissimo perché. Sentivo pulsare qualcosa, ed era per lo stesso motivo per cui porto una fede non mia al dito sbagliato della mano sbagliata. Per lo stesso motivo per cui “il dolore c’è ed è di chi ce l’ha”.
Poco prima della mezzanotte sono uscito in giardino e subito quello stupido di cane è venuto ad elemosinare delle carezze, e se smettevo mi leccava il palmo e infilava il muso sotto la mano. Mi sono messo a guardare le luci arancioni che partono da Valderice verso il mare, qua e là qualche scoppio di fuochi colorati, si stava bene anche senza cappotto.

Quando sei bambino e piangi, di quel pianto disperato col singhiozzo che quasi ti soffoca quando lo scavalchi, la soluzione migliore è addormentarsi.
Ed è l’unica soluzione che vedo possibile per passare da un giorno all’altro.