27/08/12

Try desperately to think of the politest way to say.

Del paese dei balocchi, sarebbe a dire: “Mei troia che morì de oia”.

Il Luna Park dove ho trascorso la mia vacanza estiva è un’isola e si chiama Mykonos.

E’ ventosa, ventosa in modo scenografico, in modo da non farti mai sudare ed in modo che capelli e vesti ti si muovano nel modo giusto.
Non ci sono spigoli a Mykonos, gli edifici hanno questi angoli stondati così bianchi e morbidi che sembrano fatti di panna o yogurt.
E’ percorribile in motorino, sì, non è troppo grande, ma ha salite e discese molto ripide e promontori che offrono una vista e degli scorci tali da valer la pena di essere andati fin là.
Ma c’è anche qualcos’altro per cui vale la pena andare fin là.

Non c’è cocacola normale, a Mykonos. Ne ho chiesta una ad un bar in spiaggia che rimbombava di musica house e la ragazza al bancone mi fa: “Light Coke?” non capivo, avevo detto solo cocacola. Poi mi guardo intorno e vedo una coppia di superpalestrati che sorseggiano una lattina di coca zero to share e allora forse capisco.

Non c’è futuro a Mykonos, ma soltanto un abbondante presente. Questo l’ho realizzato gradualmente, quando una sera nel locale cercavo con gli occhi il Cipriota della notte precedente e ho invece conosciuto Prince Charming, bellissimo, tedesco biondo con gli occhi azzurri, alto 1 e 90. Abbiamo fatto dell’ottimo sesso e mi sono trattenuto dal riscrivergli subito l’indomani, nell’attesa di rivederlo comunque la sera. Peccato che nel locale in cui eravamo  mi sia girato al largo. Così stavo quasi per tornarmene a casa quando ho conosciuto Fabio, romano de Roma, che è stata un’ottima consolazione ma che ancora non ha accettato la mia richiesta di amicizia su facebook e comincio a capire perché.

Ora basta, si torna a casa, si torna al lavoro e ad una vita pressappoco normale dove si fanno magari anche tanti giri ma su una sola giostra che al massimo sia un BrucoMela.

08/08/12

You and I have history or don't you remember?

Di come la settimana di agosto a lavoro passerà più velocemente del previsto. E di ossessioni.

Non faccio uno di quei lavori in cui puoi stare via un mese, quindi anche quest’anno eccomi ad agosto in ufficio, col resto del mondo in ferie.
La mia giornata tipo la fanno cominciare le mie palpebre che si aprono un minuto prima della sveglia, ovvero alle 6.59. Pochi secondi e anche lei suona e dopo averla spenta controllo le notifiche sul cellulare, nonché se mi hai scritto, di solito no. Il cane già mi guarda del tipo "andiamo che ho una vescica così?".
Moka, pipì, latte e cereali al cane, notizie, incazzatura per le notizie, denti e lavaggi vari, vestizione e via, fuori al guinzaglio (il cane, non io). Mentre lui piscia in ogni spigolo ricontrollo le notifiche, nonché se davvero non mi hai scritto. Si, davvero.
Poi a lavoro, che fortunatamente in questi giorni non infierisce. Tengo il cellulare accanto al mouse, quindi il controllo notifiche è pressoché costante. Calma piatta su quel fronte.
Torno a casa presto, accaldato accendo l’aria condizionata e mi spoglio, gioco col cane che salta come un grillo, giro tutti i canali del digitale constatando ancora una volta che non c’è mai un cazzo da vedere allora collego il telefono alle casse e ascolto musica mentre mi sfondo di flessioni e addominali per fare bella figura a Mykonos, intanto penso a cosa non-mangiare per cena.
Nel frattempo arrivano delle notifiche. Non sei tu e io mi indispongo. Ti scrivo io, il mio silenzio è diventato più che sufficiente. Mi risponderai molto dopo, ma non è tanto questo, quanto che la tua risposta è sterile, amichevole o diplomatica, ma il più delle volte fuori tema.

Norah Jones cantava con dolce rassegnazione What am I to you?
Io non sono rassegnato, sono incazzato e ossessionato. E menomale che ultimamente sono spesso da solo, perché quando sei da solo fai cose pazzoidi e ossessive, tanto nessuno ti vede e non si rende conto di quanto stai messo male.

02/08/12

Riposa almeno un'ora solo se ti incontro.

Sono riuscito a dimenticarti per qualche minuto, mi aggiro per la mostra di Botero con il cane in braccio perché giù non me lo fanno stare; poi passo davanti ad un quadro e la sensazione di te mi assale di nuovo. La sensazione prima del ricordo vero e proprio, perché ci metto un po’ a focalizzare: la donna nuda e morbida in primo piano distesa su un fianco ed il suo amante nella stessa posizione, che la avvolge da dietro, sulla schiena. Intimità, sicurezza e possesso. Quel quadro rappresenta con molta precisione ciò che ho provato nelle ultime due notti in cui ho avuto il privilegio di dormire accanto a te. Leggo la didascalia, il titolo è Lovers, ampio ma impreciso come il nostro legame, che non so quanto male o bene mi farà.
L’ossessione si è già impadronita di me. “Io vedo le cose bianche o nere” ti ho detto, ma non è servito e ci siamo salutati con la stessa incertezza di quando ci eravamo ritrovati tre giorni prima per un weekend infrasettimanale. “Sei uno stronzo” ti ho anche detto, ma poi non ho messo il profumo perché tu dici che ho già un buon odore. Questo è il genere di situazioni scomode ed ingestibili che ho sempre voluto evitare, a costo di vivere di sterilità sentimentale. Ma ad un certo punto c’è stato uno di quegli attimi, quelli in cui tutto potrebbe fermarsi e finire, l’universo esaurirsi nel fermo immagine della pienezza del momento: tornavamo in traghetto dal Giglio, intorno solo mare, terra in lontananza e un vento caldo in faccia. Tu disteso sulla panchina bianca, la testa appoggiata alle mie gambe, un braccio alzato ed agganciato alla mia mano. Non mi interessava niente altro, chi ci guardava, che ore fossero, se il telefono squillava e non lo sentivo, cosa sarebbe successo dopo.