14/10/11

I wouldn’t change a single thing.

Per intenderci, non è tanto che quest’anno c’è il Censimento e che a me di questionari ne sono arrivati tre (uno per posta, quello previsto, e due brevi manu da mamma e zia perché “tu sei più bravo in ste cose”).
Non è neanche che ho dovuto già avere a che fare con operai e meccanici e tecnici furbetti, provando una gran rabbia per le ingiustizie sociali e per le fregature personali.
Non è manco la burocrazia, così tanta da dare alla testa e da farmi concludere che non riuscirò mai a stare dietro a tutto, ma provandoci almeno mi perderò il meno possibile.
Non è neppure che mi ritrovo single nel momento in cui forse questo mi serviva di meno, o magari mi serviva proprio questo, perché chi mi stava accanto non meritava che fossi così distratto.
Non è neanche il gran silenzio, di sottofondo.

E’ che mi manchi. Visceralmente.
Che mi piacerebbe credere al soprannaturale, poi però tocca scuotere la testa e farci su un sorriso.
Che certe volte, mentre guido da solo in macchina, e dio solo sa quanto mi è capitato ultimamente, provo a dire PAPA’, la mia voce e l’istintività della parola rimbalzano nell’abitacolo e mi fanno impressione, ed è come mettere un dito in una ferita e questa comincia a frizzare.

 Ma sì, è normale. E’ normale che tu per ora ti senta apparentemente bene, che riesci anche a sorridere. E’ esattamente come quando ci facciamo male su qualche punto del corpo: lì per lì senti molto male, poi le terminazioni nervose intorno alla ferita vengono inibite dall’organismo, per permetterci di sopportare il dolore e allora ti sembra che non ti faccia così male. Quando però i nervi tornano a funzionare e si riacquista lucidità, la ferita riaffiora e torna lì a pulsare  e ricordarti che c’è. Finché non guarisce e lascia spazio ad una cicatrice.

08/10/11

And I don't need an excuse, 'cause I'm wearing my brand new shoes.

Con lei poteva succedere che eravamo in coda per entrare in una discoteca o dentro la discoteca stessa e io individuavo qualcuno di figo che poteva interessare a me o a lei (questo a seconda del tipo di discoteva che stavamo facendo la fila per), magari davvero carino e lei storceva il naso e io non capivo perché e alla fine se ne usciva con un tono che non lasciava spazio alla considerazione e questa frase “Sì ma hai visto che scarpe c’ha?” e si girava da un’altra parte, capitolo chiuso, mentre io allora gliele andavo a guardare le scarpe e veniva fuori che dal fondo dei jeans gli sbucavano le punte allungate di una calzatura (peggio ancora se stivale) pitonata, nera o - ahimè - chiara.
Con lui invece capitava che mi parlasse di qualcuno che aveva conosciuto, pieno di qualità, un ottimo candidato per accasarsi e cointestare il conto corrente, una descrizione perfetta fatta però con un tono che nascondeva un epilogo distruttivo e il mio amico infatti sospirava, scuoteva la testa e diceva “solo che c’aveva delle scarpe inguardabili” descrivendo un modello attribuibile a Geox o NeroGiardini, insomma la scarpa ortopedica è ciò che lo separava dal principe azzurro.
Io questo punto di vista per anni non sono riuscito a farlo mio e anche quando me lo suggerivano cercavo di ignorarlo. Ora, a quasi venti-otto anni devo dire che, caspio, tanti elementi possono portare fuori strada e farci convincere che la persona che stiamo frequentando non sia quella giusta, tipo che si incazza di brutto per cinque minuti di ritardo (pazzo) o che dobbiamo metterci scalzi per entrare in casa sua (maniaco), ma quella delle scarpe, gente, è meglio che la consideriate perché vi dà subito un’idea veramente significativa di chi avete davanti, un’impressione che altrimenti vi fareste solo al terzo-quarto appuntamento, e capirete che in tempi di crisi risparmiare su qualche cena, bevuta o benzina male non fa.

03/10/11

The story begins again and again.

Mi guardi mentre faccio scivolare la cioccolata fondente fusa sul trancio di panna cotta, prima il mio, poi il tuo: a te non verrebbero mai in mente sti dessert goderecci fatti con quello che uno si ritrova nella dispensa, ma a me sì. E poi te la magni pure tu pensando “che idee brillanti che c’ha mio figlio”. Purtroppo non è l’unica cosa che ti frulla per la testa stasera, e neanche a me. Lo so esattamente cosa provi e vorrei stringerti tanto fino a farti tranquillizzare. Non ne ho voglia neanche io di tornarmene da solo nell’appartamento vuoto di una città che non sento mia. E soprattutto di lasciare te qui da sola.

E’ la culla la nostra condanna, perché passiamo il resto della vita a sentire la mancanza del suo tepore, a renderci conto ogni giorno di più che là fuori è dura ed è freddo e non gliene importa più niente a nessuno di noi.