23/02/11

Quell'allegria che è fatta di niente.

Ho cominciato a sentirmi parte del posto in cui sono nato dal momento in cui ho dovuto andarmene.
La mia famiglia non è di lì, nessun legame, nessuna parentela in loco, niente di niente. I miei, appena sposati, ci sono finiti per caso. Le mie origini sono da ricercare altrove, in giro per il sud, a dire il vero per tre quarti nel profondo sud quale Sicilia, terra che amo anche lei.
Però a Viareggio io ci sono nato e ci ho passato tutta la vita, e così rimarrà per sempre. La sua aria di mare è stata la prima che ho respirato, il suo accento toscano sguaiato è stato quello che per primo mi ha contagiato, anche se il modo diverso di parlare dei miei genitori mi ha permesso di saperlo gestire. E a dire il vero i miei non ci hanno mai tenuto che mi legassi a questa città, non per qualche motivo in particolare ma semplicemente perché per loro rappresentava poco (oggi so che non è così).
In ogni caso, che tu te ne accorga oppure no, finisci per metterle le radici e pur ignorandolo durante infanzia e adolescenza, in venticinque anni io ho messo le mie a Viareggio e sono più profonde di quanto credessi.

A fine giugno di due anni fa ero a Firenze, mi ci ero trasferito da poco per lavoro. Ero a letto e verso mezzanotte un mio amico mi scrisse se stessi bene, che era successo qualcosa. La tragedia in questione non coinvolse fortunatamente nessuno tra i miei familiari o amici, tuttavia fece venire in superficie quel senso di appartenenza di cui sopra, fino ad allora sottovalutato.
Questo è lo stesso che sento al carnevale, che sento d’estate al sole o sul molo a ridosso del mare con le Apuane alle spalle. Lo stesso dei tramonti profondamente arancioni o delle luci di notte da un aereo che sta atterando su Pisa.
Il motto di Tobino “Viareggio in te son nato in te spero morire” suona alquanto patriottico, ma tant’è.